Qualche giorno fa Unicredit ha annunciato l’intenzione di uscire di scena da alcuni dei principali social network generalisti e tra i professionisti del settore si sono immediatamente create due fazioni: i pro e i contro. In questo articolo voglio andare ad analizzare in profondità il caso specifico, motivando il mio far parte dei consulenti che vedono di buon occhio questo tipo di “passo indietro”.
Una decisione che arriva dopo lo stop degli investimenti pubblicitari sulla piattaforma di Mark Zuckerberg, avvenuto a marzo 2018 dopo lo scandalo di Cambridge Analytica. A quel tempo l’ad Jean Pierre Mustier aveva motivato duramente la decisione.
Prendiamo le questioni di business ed etica molto seriamente e abbiamo interrotto ogni interazione con Facebook perché non riteniamo che Facebook si stia comportando in modo appropriato ed etico. Unicredit come gruppo non sta utilizzando Facebook per ordine del Ceo e non lo utilizzerà fino a quando non avrà un comportamento etico appropriato.
Secondo me si tratta di una decisione consapevole e ragionata, ben diversa da quel disimpegno e disinteresse che qualcuno aveva lasciato erroneamente intuire.
Unicredit sceglie di uscire da Facebook, Messenger e Instagram per pura strategia di social media management, dimostrando di aver considerato attentamente una serie di aspetti.
Storie da raccontare
Oggigiorno, dove la consapevolezza social degli utenti è sempre più elevata e dettagliata, è indispensabile avere una storia da raccontare. Le persone sono sempre più diffidenti, vedono “la marchetta” ovunque e sono sempre pronte ad abbandonare un brand che cerca di proporsi più per l’aspetto commerciale che quello comunicativo. Le banche ci provano in ogni modo a raccontarsi, fanno leva sul bisogno di certezze e sicurezze da parte delle persone, tentano di far sentire la persona al centro ma è innegabile osservare come ci sia sempre un prodotto o un servizio alla base di tutto.
La stessa Unicredit negli ultimi mesi ha cercato di legare il suo nome ad una lunga sequenza di eventi culturali e sportivi per spostare il proprio focus comunicativi ma è difficile far dimenticare alle persone che si tratti di una banca. Questi i risultati immediati, aldilà dell’engagement e tutti i KPI che si potrebbero andare ad analizzare.
Le persone non danno alcun valore significativo all’iniziativa, anzi tendono a non capirla ed a partecipare in modo disinteressato, fuoriviante e “mai nel merito”.
Diventa complesso trovare qualcosa di importante da raccontare e allora tanto vale affrontare la realtà per quello che è: siamo una banca, lavoriamo per offrirti prodotti e servizi e siccome non abbiamo molto di diverso da raccontarti tanto vale che smettiamo di provarci. Tanto non ci ascolteresti.
L’utilizzo
Se non per raccontarsi, quale altro utilizzo dei canali social resta per un istituto bancario? Gli ultimi cambiamenti in termini di privacy e gestione delle informazioni personali ha di fatto invalidato la possibilità di farne un uso come customer care. Se provate un contatto privato con qualunque attività di questo settore vi accorgerete che si resta ad un livello di assistenza molto marginale e superficiale e appena si entra in casi più approfonditi e specifici si è rinviati ad altro sistema di comunicazione più adatto.
Inoltre, in questo periodo storico di grande dibattito e difficoltà economica, le pagine dove si toccano argomenti delicati come il denaro sono sottoposte a grandissima pressione e finiscono spesso per essere al centro di polemiche “di pancia”, spesso gratuite che si è comunque costretti a moderare per non rischiare di essere percepiti come un’azienda che non ascolta i propri utenti. Il caso INPS ci ha dimostrato a che livelli estremi si può giungere se non si ha consapevolezza delle dinamiche di utilizzo e di contesto che i social possono generare.
Ritorno al rapporto umano
Quella che apparentemente può sembrare una scelta controtendenza è in realtà una scelta di tendenza. È dilagante il bisogno di essere “meno social”, di tornare al rapporto umano, al contatto, al bisogno di parlare con qualcuno privatamente e di persona.
Sono numerosi gli studi che indicano un progressivo abbandono dei social da parte di persone più o meno giovani (a questo link un’interessante analisi comparsa quasi un anno fa), sia per bisogno di differenziarsi (soprattutto tra i più giovani) sia per il bisogno di disintossicarsi da dinamiche che sono diventate talvolta estreme. Il valore percepito di tutto quel che non è social oggi è divenuto elevatissimo, quasi esclusivo e può diventare una carta vincente nella percezione che si offre del proprio brand.
Uscire dai social per migliorare la percezione del brand?
Estremizzando, l’idea che presto potrebbe arrivare nella testa degli utenti da questa decisione è:
“sono una buona azienda perché vogliono conoscermi, vogliono vedermi e non si limitano a farsi trovare pronti come altri in un ambiente digitale freddo e asettico dove sono tutti gli altri. Certo mi piacerebbe mi raccontassero qualcosa di loro ma è evidente che conto qualcosa per loro, SONO IMPORTANTE!”
Non è forse aver messo il cliente realmente al centro con riflessi evidentemente benefici su brand positioning e percezione del brand stesso?
Ps. Anche Lush, famosa azienda del settore cosmetico, ha comunicato negli stessi giorni una parziale uscita dai social per ragioni molto simile a quelle di Unicredit. E loro forse qualcosa da raccontare l’avrebbero pure avuto.